Media e polizia all’attacco
La celere si è mossa nella
settimana passata, a Milano, con una certa decisione, gestendo la
piazza senza esitare a colpire con violenza donne, uomini, bambini
gettati fuori dalle loro case con i propri averi. I comandanti nella
piazza si erano presentati fin dalle prime ore, il primo giorno,
minacciando di morte gli sfrattati e solidali presenti: e alla fine il
morto l’hanno ottenuto, un feto di sette mesi. Le manganellate sul corpo
della madre incinta mercoledì, l’accertamento della tragedia venerdì
mattina. Per tutto il giorno un rincorrersi di voci, poi la sera il
corteo che è partito da via Gola ha urlato la propria rabbia attorno ai
Navigli. Il commissariato di zona è stato bersagliato nella notte con
pietre e petardi da un centinaio di persone.
I giornali hanno
dedicato paginoni interi alla rabbia milanese di questi giorni, i
telegiornali lunghi servizi. Un’attenzione mediatica che ha seguito
passo passo l’evolversi della situazione, ma che in realtà era emersa
già prima: diversi talk-show e trasmissioni televisive avevano inviato
giornalisti a documentare (si fa per dire) il “problema” delle
occupazioni connotandolo in senso allarmistico e cercando di fomentare
l’astio dei senza casa che non hanno ancora occupato verso quelli che
l’hanno già fatto, usando le liste dell’Aler come spada retorica
nell’intento di contrapporre chi ha legalmente diritto alla casa da chi,
legalmente, non ce l’ha.
Il discorso mediatico sull’emergenza
abitativa milanese ha usato toni aspri, quasi rispondesse a una precisa
strategia, funzionale al blocco di potere che governa l’Italia da un
anno, che ha già saputo rispondere con il Piano Casa, in senso
repressivo, alle pratiche di riappropriazione dei movimenti: un blocco
che unisce il Pd di Renzi e ciò che resta dell’impero politico
berlusconiano, associati nel comune interesse di mettere in atto la
svolta ultraliberista e autoritaria della società italiana, con un
effetto di altissima speculazione imprenditoriale e politica sugli
effetti storico-economici della crisi. Un blocco di potere fondato da
Renzi a Berlusconi sulla scienza dello spettacolo e radicato
profondamente nel mondo giornalistico-mediatico della casta mainstream.
Medicina ufficiale e magistratura non saranno mai la nostra giustizia
Questo
discorso si è imbattuto venerdì mattina nella morte prodotta da questi
dispositivi speculativi, qui e ora, nelle strade della capitale
economica italiana, per mano della polizia. La gestione della notizia è
stata naturalmente oculata da parte dei media, e prima ancora delle
autorità poliziesche e mediche (che, non dimentichiamolo, molto spesso
mostrano un’intesa perfetta quando c’è da tutelare una piccola o grande
ragion di stato). I medici che hanno constatato il decesso del bambino,
ormai prossimo alla nascita, hanno diffuso la tesi che esso abbia avuto
luogo indipendentemente dalle percosse subite dalla donna, precisando –
in modo piuttosto sospetto – che la denuncia del fatto all’autorità
giudiziaria era un mero “atto dovuto”. Questa la fretta, mostrata dal
personale medico coinvolto, nell’assolvere moralmente la polizia. La
questura si è di fatto chiusa nel silenzio, i pm incaricati hanno
assicurato pronte indagini.
Cose che conosciamo alla perfezione;
cose che hanno a che fare con il potere di chi ricopre ruoli che si
interscambiano, dal poliziotto che può falsificare documenti o
intimidire potenziali testimoni, ai medici di una clinica
iper-tradizionalista come il Mangiagalli (massima concentrazione di
antiabortisti a Milano e forte presenza del Movimento per la Vita),
sempre pronti a colpevolizzare le donne che decidono di interrompere una
gravidanza, ma che perdono tutta l’animosità della propria retorica
sulla “vita” quando si deve coprire, con i sempre pieghevoli crismi
della scienza di stato, un’interruzione di gravidanza non voluta,
provocata dallo stato stesso.
I giornali ci raccontano che i pm
lavoreranno alacremente sul caso, in modo indipendente. Eppure la
magistratura non è un organo indipendente. Le procure non sono soltanto
gli organi istituzionali all’opera tutto l’anno, all’offensiva dei
comportamenti sociali devianti dalle regole imposte dalla classe
proprietaria, delle categorie umane escluse dai diritti minimi
(migranti), delle azioni politiche che sanno mettere in discussione
l’esistente; esse sono anche – come i tribunali – il luogo, da sempre,
della composizione degli interessi capitalistici del territorio (là dove
questo o quel potentato economico può aver uno o più pm, o giudici, al
proprio servizio), oltre che della governance giurisprudenziale
delle contraddizioni che possono emergere in settori o rappresentanti
delle istituzioni (e questo è senz’altro il caso).
La magistratura
ci è quindi nemica: ricordiamolo sempre, non si tratta mai di
distinguere tra pm “buoni” o “cattivi”. Nessun pubblico ministero potrà
mai svolgere indagini indipendenti: non foss’altro perché è la sua
polizia giudiziaria ad aver commesso il delitto che attraverso essa si
dovrebbe appurare e punire, e perché il dettato giuridico cui pretende
eventualmente di attenersi non è neutro, predisponendo procedure che di
per sé consegnano alla storia sempre verità parziali (cioè di parte).
Il giudizio sulla morte di Milano lo diamo quindi noi, qui e ora. Lo ha
dato l’assemblea di oggi al Conchetta. Responsabile è il reparto
celere, responsabile è la digos, responsabile è la questura. Loro hanno
ordinato e messo in pratica la violenza. Che abbia prevalso il trauma
fisico o psichico nel casuare questa tragedia, che abbia influito la
salute di questa donna o lo stress a lei provocato da una vita
tormentata dalle ingiustizie sociali e dalla repressione, sono dettagli
insignificanti rispetto alla sostanza politica. Ognuno si prenda le
proprie responsabilità.
Lasciamo che i giornalisti continuino le
proprie insinuazioni sulla madre, sualla sua malafede o sulla sua vita
turbolenta: cosa vale, per loro, la voce di una donna proletaria? Cosa
vale la vita di un essere umano concepito e quasi nato dentro
un’occupazione? Lasciamo che i magistrati seguano i propri riti separati
e aridi, e lasciamo anche che gli avvocati svolgano il loro ruolo, che è necessario, ma che è sempre soltanto l’aspetto legale
della questione, è sempre specifico, si situa giocoforza in un campo di
rapporti definiti dalla controparte. I movimenti rivendicano
giustamente la loro autonomia. Una simile autonomia vale anche rispetto a
qualsiasi considerazione tecnica (anche sul piano legale) di fronte
alla pratica e agli effetti dello scontro sociale. È un’autonomia
politica che prevede il giudizio immediato e il giudizio di parte.
È un’autonomia che diventa sociale quando riusciamo a propagare la
giusta rabbia per la violenza e l’ingiustizia che noi non abbiamo
scelto, ma che il nostro nemico non esita a diffondere nelle strade.
fonte: infoaut assemblea cox 18
Nessun commento:
Posta un commento