Il trattato di associazione e cooperazione economica con l’Unione
Europea siglato dall’Ucraina di Poroshenko, insieme a Moldova e Georgia, è l’ulteriore
passaggio di una politica Nato volta ad esercitare pressione ai confini della
Russia. Una pressione sia di carattere economico diplomatico ma soprattutto
militare, nella prospettiva della modifica degli equilibri internazionali per
cui all’unilateralismo americano si andrà sostituendo la formazione di aree
macroeconomiche in competizione di cui quella europea, sia che resti così com’è,
sia che rimanga uno zoccolo duro centro-nord-europeo, sarà destinato ad essere
zona cuscinetto ed estrema propaggine Nato verso la Russia, promotrice del
nascente blocco euroasiatico. Infatti Putin ha reagito a questa vera e propria
aggressione, sia siglando accordi ultratrentennali con la Cina per la fornitura
di quel gas, prima quasi regalato all’Ucraina e che ora l’Europa minaccia di
voler in parte sostituire con lo shale americano, sia ratificando trattati per
la costituzione di un polo economico (ma inevitabilmente politico, data la
situazione) con Bielorussia e Kazakistan.
La centralità della
crisi ucraina si evince anche dai trattati in ballo nel mentre si consuma la
guerra civile che lascia i morti sul terreno; l’iniziativa di Putin vuol essere
una risposta, per ora debole, non solo
alle sanzioni ed all’ingerenza ad est di Ue e Nato, ma anche al trattato di
libero scambio tra UE e Usa il famigerato Ttip, che ci costringerà a sorbirci
le ciofeghe americane, a cominciare dagli ogm su larga scala. Nella stessa
direzione va anche la prosecuzione del sud south stream, caldeggiato dall’”amico”
Berlusconi oltre che da Austria e Serbia, il gasdotto che fa rotta a sud
tagliando fuori l’Ucraina e che contribuì ad alienare al nostro lungimirante
puttaniere le simpatie americane.
Con gli accordi di
questi giorni che completano quelli del marzo scorso si dà sbocco alle
rivendicazioni, in parte etero dirette, di piazza Maidan ed al golpe che
estromise il debole presidente Yanukovic, non contrario in assoluto al trattato
di libero scambio ma desideroso di sfuggirne le condizioni capestro e mantenere
la vicinanza con Mosca. L’ingresso delle bande neonaziste in combutta con gli
oligarchi ultraliberisti ha accelerato il processo di assimilazione nell’Ue con
la conseguente indipendenza della Crimea, tornata alla madre Russia, e con la
guerra del Donbass e nelle zone russofone dell’Est; un conflitto che ha dato
slancio alle forze filo russe e panslaviste, così come a quelle di orientamento
comunista, le quali si vedono nuovamente chiamate a far diga contro l’avanzata
dei neonazisti che ostentano platealmente i simboli collaborazionisti dei loro
nonni. La fragile tregua di questi giorni difficilmente sarà preludio ad una
soluzione negoziata soddisfacente e Putin avrà il suo daffare nel tentar di governare
le spinte indipendentiste che ha incoraggiato. Altrettante difficoltà ma di
diversa natura iniziano a coinvolgere i paesi europei, in primis la Germania,
sponsor del golpe su pressione Usa e costretti dal protagonismo di Obama a
metter giù qualche sanzione che li danneggia più della Russia, soprattutto per
quanto riguarda le esportazioni ed in prospettiva le forniture di energia e
materie prime. Ciò ad ulteriore conferma che la posta è essenzialmente geopolitica.
Tra l’altro sarà sicuramente antieconomico mantenere stabilmente Ucraina,
Moldova e Georgia in una Unione che già affama i popoli del sud, difficilmente
potendo imporre loro le stesse misure draconiane in cambio degli aiuti
destinati a sopperire alla passata ed interessata generosità russa. L’effetto
sarebbe una pericolosa disillusione quando svanirà il fumo ideologico e le
aspettative di benessere alimentate dai vari movimenti, arancioni o neri.
Il tira e molla della diplomazia russa, consapevole di non
poter controllare fino in fondo le rivolte dell’Est ucraino, sembra al fondo
motivato da una visione strategica di medio periodo che, una volta messa in sicurezza
la Crimea (regalata improvvidamente da Kruscev padre all’Ucraina come segno di buon
vicinato), non punta a spostare più ad occidente i confini russi, poiché, per
dirla semplicemente, si sposterebbero soltanto di diversi km le basi Nato; E’
da ritenere che a Mosca siano più interessati ad avere anche essi una zona
cuscinetto, con ampia autonomia e legami “fraterni” che tenga comunque lontane
le basi dai confini propriamente russi. Una proposta come quella avanzata da
Kruscev figlio, membro oramai dell’establishment intellettuale americano, ossia
di una Ucraina smilitarizzata e neutrale per almeno un trentennio appare
irrealizzabile proprio perché l’Occidente ha soffiato volutamente sul fuoco per farne un avamposto geopolitico e militare.
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