lupo

giovedì 21 agosto 2014

L.U.P.O.:Sintesi dell'intervento al forum europeo di Assisi "Oltre l'euro l'alternativa c'è"

La sinistra ed il tabù della sovranità nazionale

Gli schiaffoni dati da Draghi alle velleità di Matteo Renzi con l’invito a cedere sovranità a Bce e Commissione Europea per quanto concerne le riforme strutturali sono stati assorbiti con il consueto ebetismo, non solo da lui ma da tutta la sinistra, mentre a destra si è levato qualche disappunto di circostanza. Dopo oltre un ventennio dal trattato di Maastricht vige ancora nella grandissima maggioranza della sinistra, anche di quella antagonista, una ostinata pregiudiziale filoeuropeista ed antisovranista che si è mantenuta fin alle ultime elezioni europee con la lista Tsipras della Spinelli, quando è oramai evidente anche ai sassi che l’Ue e l’Euro sono costruzioni ultraliberiste, strumenti di impoverimento dei lavoratori e concentramento di capitali a vantaggio delle oligarchie finanziarie e delle economie nordeuropee. Al costante peggioramento degli indici economici e delle condizioni di vita delle classi popolari le destre sono riuscite a dare risposte pronte, quanto strumentali, in Francia ed in gran parte dei paesi dell’Unione; in Italia hanno sviluppato posizioni antieuro e sovraniste addirittura in pochi mesi prima delle elezioni, mentre la sinistra, continua come un pugile suonato ad agitarsi a vanvera su un Europa dei popoli che abbandonerà le politiche di austerità per avviare un nuova fase di crescita solidale, stimolata dal protagonismo fraterno dei lavoratori nell’imprescindibile nuovo spazio europeo, solo possibile luogo di rivendicazione e conflitto al posto del superato spazio nazionale.
 Lo ripetono come un mantra da circa due decenni, apparentemente senza accorgersi che i conflitti più efficaci si danno ancora su scala nazionale, più ancora su scala territoriale, mentre l’impossibilità di svalutare la moneta pone i governi Quisling nella condizione di svalutare salari e welfare mettendo i lavoratori dei paesi europei, specie del sud, in concorrenza tra loro al ribasso. Ci sono molte ragioni, di carattere storico e dottrinario che determinano queste posizioni antisovraniste; tralasciamo in questa sede i riferimenti alle ortodossie od eresie ufficiali per sintetizzare le attuali idiosincrasie, determinanti veri e propri cortocircuiti dell’analisi e della prassi politica. Possiamo sintetizzarli principalmente in tre ordini: frainteso internazionalismo e determinismo quando c’è buona fede e sincera quanto ottusa convinzione che il nazionalismo sia roba di destra; in paraculismo quando l’inutile e dannoso istinto di sopravvivenza porta un ceto politico residuale ad attaccarsi come un parassita al corpo insano dei blocchi dominanti; rappresentanza organica delle classi dominanti per la sinistra liberista di governo. Parliamo fondamentalmente di 3 tipi di sinistra ma che finiscono spesso per essere complementari se non apertamente complici come ha dimostrato l’imposizione del liberismo nel nostro paese. E’ stata ed è, infatti, la sinistra Pds- Pd, prima prodiana, poi tecnica ed ora contaballe a dar corso alle privatizzazioni ed alle controriforme strutturali contro lavoro, welfare e Costituzione, incaricata a ciò dai poteri imperiali ed eurocratici, oltre che dal grande capitale nazionale, perché in grado di controllare meglio sindacati e organizzazioni sociali. Sono stati gli assertori dell’Europa dei popoli ad essersi disperatamente attaccati alle poltrone da questa concesse, facendo passare tutte le politiche antipopolari ed anticostituzionali, addirittura le guerre di aggressione contro altri paesi. C’è stata infine una vulgata intellettuale, anche quella più antagonista e meno salottiera, che ha finito per sostituire l’internazionalismo proletario con la globalizzazione imperialista, che ha assunto l’utopia di una Europa unita come illusione di reale unificazione dei popoli oltre i confini di stati nazionali visti ancora (ed in linea di massima a ragione) come strumenti di monopolio della violenza delle classi dominanti. Pazienza se questa Europa non è ancora la federazione di popoli liberi auspicata, ma comunque occorre assecondarne le magnifiche sorti e progressive perché ne prepareranno inevitabilmente il terreno, mentre tornare ai nazionalismi per difendersi dalle distorsioni attuali rappresenterebbe un arretramento reazionario. E qui siamo al determinismo. Queste sinistre sono state e continuano ad essere per l’Unione Europea ed il Gruppo socialista Europeo né è trave portante. Abbiamo parlato di sinistra ma il rigetto della sovranità si fa ancora più paradossale se ci riferiamo a quelle forze che appartengono o si richiamano al comunismo. Questo perché nella storia delle rivoluzioni realmente sviluppatesi nel bistrattato secolo breve fino ai giorni nostri la questione nazionale, declinata in maniera patriottica e/o anticolonialista ed antiimperialista, ha avuto sempre una centralità assoluta. Anche la storia dei partiti comunisti europei ha avuto una svolta fondativa nella lotta partigiana e patriottica contro il nazifascismo, nella costituzione dei fronti popolari per la liberazione nazionale, nel richiamo alle tradizioni nazionali, persino a quelle religiose contro le truppe di occupazione straniere. La loro evoluzione è stata influenzata dalle lotte dei movimenti operai che hanno caratterizzato le conquiste sociali e politiche fino agli anni 70 le quali si davano, pur nelle contingenze della guerra fredda, su scala nazionale esprimendosi – certamente - anche sul terreno della solidarietà internazionale con i lavoratori dei popoli oppressi o sottoposti a dittature ma sempre in appoggio alle loro lotte di liberazione nazionale. In seguito, la percezione dell’implosione dei socialismi reali nei gruppi dirigenti portò molti partiti comunisti a fondersi con istanze della sinistra borghese, nel nostro paese in particolare di tradizione liberale, anteponendo sempre più i diritti civili ed individuali a quelli collettivi di classe (pur perseguiti attraverso una linea riformista e revisionista). Illuminante al riguardo la fotografia allegorica nel cambiamento dei costumi di tale svolta rappresentata in una commediola all’italiana con Pozzetto (il Ghandi) e Massimo Ranieri. Tale involuzione si spinse nelle scelte sull’Eurocomunismo e l’ombrello protettivo della Nato di Berlinguer che rappresentarono, insieme alla repressione attiva dei movimenti rivoluzionari sorti alla sinistra del PCI, una sorta di peccato originale in materia di rinuncia alla sovranità. Alla influenza di Mosca si sostituiva la dipendenza alla Nato; alla solidarietà internazionalista tra i lavoratori l’universalismo dei diritti civili ed individuali, di cui i paesi occidentali, più democratici (oltre che militarmente superiori ed usciti vincitori dalla guerra fredda), erano gli indiscutibili paladini. Un processo simile avvenne, sia pur in minor grado, anche in altri paesi europei e questo spiega in parte l’origine delle posizioni sia ipocritamente pacifiste, quando non apertamente imperialiste guerrafondaie, sia alterglobaliste (anzichè antiglobaliste) che antisovraniste di gran parte della sinistra di tradizione o derivazione comunista. A queste considerazioni si oppongono tesi con un loro fondamento tra le quali quelle che rilevano come la sovranità nazionale può favorire i capitalisti nazionali ma non le classi subalterne, quelle che rivendicano la sovranità popolare al posto di quella nazionale in quanto quest’ultima non mette in discussione l’egemonia delle classi dominanti nella nazione; la constatazione che una sovranità popolare non l’abbiamo mai avuta, neanche quando gli stati nazionali avevano maggiori margini di autonomia, in quanto la classe politica ed i gruppi dominanti nazionali erano asserviti a Usa e Nato; l’asserzione che il capitalismo è sempre stato globalizzato, almeno tendenzialmente, e quindi il problema è combattere il capitalismo in quanto tale e non tanto l’esauturazione che oggi impone ai poteri nazionali; la convinzione che il peggioramento delle condizioni di vita per milioni di proletari ed impoveriti europei offra sbocchi rivoluzionari a livello europeo rendendo superfluo, se non reazionario, il passaggio al ripristino della sovranità nazionale. Riteniamo senz’altro che l’aspirazione al ripristino della sovranità nazionale non debba essere confusa con posizioni becero-nazionaliste, scioviniste o addirittura razziste; tantomeno come uno strumento per ripristinare la competitività dei capitalismi nazionali a suon di svalutazioni e svendite ulteriori di attività, di beni comuni e di tagli a salari e diritti sul lavoro. Gli eventuali vantaggi, ben considerati nelle proposte di uscita da destra, potrebbero portare a frenare le delocalizzazioni ma attirerebbero capitali stranieri per shopping a basso costo, potrebbero rilanciare le esportazioni ma ricadrebbero in maniera devastante sulle condizioni di vita di lavoratori già impoveriti. Sarebbe qualcosa, alla ennesima potenza, di già visto con l’uscita del ‘92 dal sistema dei cambi fissi dello Sme, la cui svalutazione di circa il 20% fu fatta ricadere soprattutto su salari e pensioni. Per questo occorre senz’altro declinare la sovranità nazionale in sovranità popolare, legandola all’indicizzazione dei salari ed a misure atte a dar vita ad un sistema economico socializzato, iniziando da un massiccio intervento pubblico. Il ripudio dei trattati europei e del fiscal compact, la difesa delle conquiste sociali e democratiche ancora sancite dalla Costituzione è un primo passaggio su cui cercar di fare massa critica per porre le basi per una alternativa sempre più radicale, dove assolutamente centrale sarà l’uscita dalla Nato, l’abolizione delle servitù militari e lo smantellamento delle basi americane. La ricollocazione del nostro paese al di fuori della politica aggressiva ed espansiva della Nato, che rischia oggi di portare l’Europa allo scontro con la Russia, la rettificazione della nostra diplomazia e politica estera, tenendo la bussola ferma sul’autonomia ed indipendenza delle nostre scelte, condizionate solo dalla necessità di relazioni solidali con paesi che intraprendano un simile percorso, deve accompagnarsi ad un cambio di sistema economico, addirittura di paradigma produttivo non più imperniato sulla crescita compulsiva e consumistica ma sulla soddisfazione dei bisogni essenziali, materiali e spirituali delle classi popolari; ma ogni via verso il socialismo deve darsi dei passaggi determinati dalle contingenze storiche ed il ritorno alla piena sovranità nazionale rappresenta oggi un primo passaggio imprescindibile. Il capitalismo per un comunista va certamente combattuto a prescindere ma nella sua forma concreta, quella che oggi impone la perdita di sovranità di stati e governi, ad eccezione di quelli che guidano le sue forme dominanti finanziarie ed imperialiste. Per imporre socializzazioni, espropri, nazionalizzazioni di banche e proprietà strategiche, uso mirato del protezionismo, ripudio selettivo del debito ecc.. occorre avere il potere per farlo ed il luogo di esercizio che rimane ancora quello dello stato nazionale. Non sottovalutiamo le ragioni di quanti ritengono invece lo spazio europeo deputato alle lotte per rilanciare un nuovo welfare e rivendicazioni globali che possano su di esso cambiare i rapporti di forza, ma per ora non se ne danno le condizioni perché troppo diversi sono i livelli materiali dei popoli europei, altrettanto i regimi sociali, fiscali, le dinamiche storico-culturali dei paesi che aderiscono all’Unione (basti pensare alle recenti acquisizioni dal vecchio blocco dell’Est). Ritenere che realizzando l’Unione politica, oltre che monetaria, si possano omogeneizzare queste differenze creando le basi per una rivoluzione su scala europea, ricorda la vulgata marxista che riteneva progressive le colonie in quanto proletarizzavano i popoli rendendoli così pronti alla rivoluzione. Un movimento di sollevazione rivoluzionaria potrà prender corpo laddove le condizioni imposte dalla troika sono più devastanti per i lavoratori e per la disoccupazione di massa, attualmente nei paesi del Sud Europa; E' impensabile (se non per tardo-determinismo) che questo possa darsi contemporaneamente in tutti i paesi dell’ Unione, dalla Germania all’Italia, alla Romania. Il passaggio non sufficiente ma necessario alla piena sovranità nazionale, esercitato da un blocco di forze popolari che prenda in mano il paese per transitarlo verso un nuovo corso politico-economico, deve tuttavia evitare tentazioni autarchiche od isolazioniste, sia sul terreno dei provvedimenti economici e commerciali che su quello politico-diplomatico. Nazionalizzazioni e protezionismi dovranno garantire la piena occupazione, salvando però alleanze e partenariato con quei paesi detentori di risorse e capitali con i quali si dovranno istituire o rinsaldare vincoli e rapporti di scambi privilegiati, soprattutto se si uscirà dal mercato Comune europeo, se si straccerà opportunamente il Ttip e se ne dovranno sopportare le prevedibili conseguenze in embarghi e ritorsioni. In politica estera sarà opportuno rilanciare alleanze e ricerca di convergenze verso paesi che intraprenderanno analoghi percorsi di liberazione non escludendo, oltre alla creazione di un mercato preferenziale, anche un futura nuova unione monetaria, ma quando questa sarà il risultato di un forte riformismo solidale, quando le condizioni sociali, economiche, fiscali, il regime di diritto, la politica estera saranno uniformati all’interesse delle rispettive classi popolari. Solo allora la moneta potrebbe essere il tetto di una nuova casa comune e non sarebbe impropriamente concepita come il traballante pilastro che ce la fa cadere in testa. Solo allora potrebbe darsi un patto federale tra popoli liberi e parimenti sovrani, non finalizzato, come quello dell’attuale U.E. alla loro spoliazione in nome dei poteri finanziari e del liberismo predatorio. Insomma quando sarà avviato un percorso di nuovo socialismo.
 Lotta di Unità Proletaria Osimo

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