L’assemblea convocata al chiostro di San Francesco dai sedicenti (ed effettivamente) poveri ha
registrato un certo disinteresse sia delle
liste civiche, presenti soltanto con esponenti in sentore di squillo di tromba,
sia della maggioranza che ha volutamente snobbato quanti, a torto o a ragione, vengono
considerati come portatori di pacchetti di voti decisivi ai trascorsi successi Latiniani. Le modalità di convocazione e le
prospettive di sbocco indicate non hanno incoraggiato la presenza di cittadini
“autoctoni” magari altrettanto indigenti. Inoltre la scelta di indire un
corteo la mattina dello sciopero generale può far credere di voler marcare una
distanza dalla mobilitazione sindacale, che poteva anche essere parzialmente
intercettata se la manifestazione cittadina fosse stata spostata per il
pomeriggio. Allo stesso modo è stato chiarificatore il deciso rifiuto espresso da qualcuno degli organizzatori di ogni
commistione con analoghe lotte che vedono protagonisti comitati
occupanti, comitati antisfratto e centri sociali. Abbiamo fatto presente che una eventuale logica lobbistica intesa a sindacare assistenzialismo di questi tempi difficilmente paga, non perché
la giunta Pugnaloni sia meno clientelare dei suoi predecessori ma perché, anche
volendo, non c'è più trippa per gatti: l’offerta supera abbondantemente la
domanda. Alcune proposte non vanno certo in tale direzione, come quella di costituire una cooperativa per
proporsi in mansioni di supporto alle competenze delle società partecipate e possono avere uno sbocco,
altrettanto condivisibile la denuncia del cappio imposto dai patti di stabilità. Ma se si vuole seriamente impostare una vertenzialità sociale occorre farsi
soggetto collettivo, non parlare prevalentemente con l’inflessione campana, arrivare all'intera cittadinanza impoverita, non precludere possibili sinergie con
percorsi che in tutto il paese si scontrano con l’ignobile piano casa di
Renzi e soprattutto scordarsi che arruffianarsi con i padroni del vapore di
turno risolva il problema delle povertà crescenti; ma di questo sembra esserci consapevolezza. Vista la composizione della maggior parte dei partecipanti (anche se ormai sono storicizzate le ragioni di certa immigrazione interna dalla Campania a Osimo e gli attuali cittadini originari di quei luoghi sono osimani da decenni) ci siamo permessi di
ricordare la vecchia esperienza dei Banchi Nuovi come possibile bussola,
ovviamente da orientare sulle coordinate odierne . Giustissimo rammaricarsi di
quanti non hanno accolto l’invito all'assemblea perché vergognosi di esternare una condizione
di indigenza, ma se si limitano i contatti a conoscenti, commercianti,
galoppini dei trascorsi "bei tempi" che furono e si preclude chi si è stancato di
chiedere e comincia a riappropriarsi di ciò che viene negato ai propri bisogni
basilari non c’è da sorprendersi della mancata risposta. Malgrado gli evidenti
limiti di questa iniziativa, malgrado un certo taglio lumpen-reazionario emerso
da qualche intervento (non degli organizzatori) insieme ad una tendenza a fare cartello va rilevata anche una, pur distorta,
potenzialità autoorganizzativa che per quanto ci riguarda va valorizzata ed
estesa. Va rilevata una concezione della sfera pubblica dove definire spazi collettivi ma questi, i
diritti che lì si difendono o si reclamano, devono essere estendibili ed unificanti, augurandoci che non
vadano circoscritti a dinamiche lobbistiche o, peggio, clientelari. Non si tratta di
organizzarci per chiedere a chi governa di darci un aiutino in cambio, magari,
di una qualche tangibile riconoscenza ma
di fare dell’autoorganizzazzione di settori popolari potenza in fieri, capacità
di progettazione e mutuo soccorso, riappropriazione di ciò che la lotta di
classe vincente dei padroni, sistematicamente ci toglie. Qualcosa in tale direzione sembra muoversi.
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