lupo

mercoledì 9 ottobre 2013

Cambiare le leggi sull'immigrazione e politica estera

Anche sulla strage di Lampedusa non sono mancate le strumentalizzazioni e le ipocrisie. Innanzitutto di quelle forze politiche che continuano a cavalcare sentimenti xenofobi pur di fronte a questa immane tragedia; poi delle istituzioni  e dei loro responsabili, capaci di prodursi in pianti e sfilate ma incapaci di garantire persino un riparo dall’acqua ai superstiti, quando si poteva mettere sollecitamente a disposizione tende e strutture di esercito e protezione civile, oppure requisire qualche nave da crociera.
Dei tanti che hanno esternato dispiacere e buoni propositi ha brillato il ministro della difesa Mauro per la sua strenua difesa delle missioni che chiama di pace, missioni che servirebbero ad interporsi in situazioni di guerra e di guerra civile, in modo da prevenire o limitare le ondate di profughi. Egli ha lodato lo sforzo dei militari, sia in opera di pattugliamento e soccorso che di interposizione nei conflitti.
La capacità di soccorso l’abbiamo vista in questo caso e nei molti altri conclusi con morti annegati; la politica estera e militare italiana, asservita a quella Usa e proiettata  verso l’area islamica e nordafricana, è stata ed’è tra le principali cause di destabilizzazione e deflagrazione dei conflitti armati che provocano gli esodi dei disperati: i profughi che bussano e spesso muoiono sulle nostre coste.
Afghani, Siriani, Somali ed Eritrei, Subsahariani: sempre più spesso i  profughi che ci “invadono” presentano il conto dei nostri interventi, delle nostre invasioni alle loro terre che Mauro si ostina a definire missioni di pace. I nostri interventi in Iraq ed Afghanistan, la nostra partecipazione politica alla destabilizzazione della Siria, il nostro intervento diretto in Libia per far fuori l’”alleato” Gheddafi: tutto questo ha moltiplicato guerre ed insicurezza, alimentando migrazioni genocidi, espulsioni di massa e gli affari dei trafficanti.
Centinaia di migliaia di neri sono stati costretti a fuggire dalla Libia, dove lavoravano, sotto l’azione di veri e propri pogrom promossi dai “rivoluzionari”; così come i tuareg, andati via per combattere  in Mali. In Somalia ci siamo andati con l’esercito per poi ritirarci insieme agli americani con la coda tra le gambe, lasciando un paese che sarebbe stato relativamente pacificato dalle Corti Islamiche, un ordine che non tornava all’Occidente ed abbiamo quindi contribuito al loro collasso per trovarci poi a fare i conti con organizzazioni ben più radicali e popoli interi in fuga. Anche in Eritrea l’Italia  ha fatto la sua parte, contribuendo ad isolare e punire il governo del presidente Isaias e soffiando su una sanguinosa guerra civile in un paese che tentava un sua via di indipendenza e socialismo.
 Napolitano non perde occasione, dopo  ogni  dovuta commossa  esternazione, di ricordarci che questi morti non sono  migranti clandestini in cerca di lavoro ma sono profughi che fuggono dalle guerre; quasi che così potessero essere sdoganati, quasi che migrare per fame, miseria o per lavorare sia meno dignitoso. Il problema che si pongono i buonisti del governo delle larghe intese è in realtà quello di far digerire ai permalosi alleati di destra qualche modifica della Bossi-Fini.
 Anche l’appello alla responsabilità dell’Europa suona un po’ paradossale, essendo questa UE, al pari dell’Italia, pienamente responsabile delle politiche imperialiste e neocoloniali che sono la causa a monte di tragedie come queste. Bisogna senz’altro eliminare la Bossi-Fini, il reato di immigrazione clandestina, attrezzare strutture di emergenza adeguate, magari impiegando le risorse e le competenze militari per far fronte a questi disastri anziché per invadere altri popoli. Ma soprattutto occorre cambiare politica estera, progetto e scopi della nostra difesa, farsi promotori della mediazione e risoluzione dei conflitti, soprattutto in questo Mediterraneo di cui siamo ponte geografico, politico, storico e culturale. Le nostre basi  come quella di Sigonella e Niscemi non devono ospitare le scorrerie dei Navy seals o dei droni ma devono tornare alla nostra  piena sovranità e diventare strumenti di autentica  sicurezza nazionale, che non può prescindere dalla sicurezza e dignità dei popoli di fronte a noi.

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