lupo

giovedì 24 ottobre 2013

Parole in libertà dopo il 19 ottobre

Non bilanci ma opere di bene: "si parva licet". (Parole in libertà dopo il 19 ottobre, ossia e ormai dopo aver assodato di essere spiati dal grande orecchio della NSA)

A stretto giro di parole prendo sul serio l'ultima proposizione dell'art. (in merito alla manifestazione romana del 19 ottobre[19°]) postato sul blog- LUPO:"Certo è emersa anche carenza di linea strategica; si denunciano con chiarezza le nefandezze della UE senza indicare l’alternativa ma è dentro questo popolo che dobbiamo costruirla."
Nulla o quasi niente da eccepire sulla valutazione politica della giornata. Parimenti niente da dover aggiungere al significato “pratico” che evidentemente può evincersi dal titolo del post. Sono consapevole che tutto va "maneggiato con cura", ma un azzardo (?) nella diagnosi va fatto, almeno per fissare alcuni punti di discussione possibile.
Il 19° ha presentato, ossia contro ed oltre le rappresentazioni dei media mainstream, prima e dopo "l'evento", (vellicatisi con le solite frasi cerimoniali spaventapasseri:"i pacifici",i "colorati, i "violenti incappucciati" e via discorrendo con vari preformat utilizzabili), una soggettività eterogenea in movimento, completamente e dichiaratamente auto-organizzata.
Lo iato, la differenza o, meglio ancora, la diversità esistenziale, teorica, pratico-organizzativa delle soggettività in forza nel 19° rispetto ai soggetti incarnanti le istituzioni della rappresentanza della bolsa destrocentrosinistra"sindacal-politica"  (l'articolo della LUPO ne illustra e resoconta concisamente e chiaramente la radiografia rispetto a fatti recenti) sono letteralmente -e felicemente- emerse dall'underground della scena pubblica (mediatica, politica e sociale) e dalla marginalità entro cui le si voleva passivamente relegate.
Nuove "rudi razze pagane"  -precari e migranti di "n" e/o "x" generazione, cosiddetti “ceti medi” declassati, realissimi “poveri” vecchi e nuovi- che vivono concretamente la crisi hanno così buttato all'aria il fumoso, "formalista-legalista" e, in definitiva, debolissimo tentativo aggregazionista intorno a una neo-rappresentanza della “sinistra”. Quella del 19°.UNa soggettività eterogenea, finalmente oggi (di nuovo) in movimento, è una nuova "costituzione materiale" – e speriamo programmaticamente (le basi ci sarebbero…) costituente- che non vuole semplicemente immolarsi a difesa di una "costituzione formale" di cui, né oggi né ieri né mai –viste le tendenze correnti- potrà goderne i “benefici”, i “diritti” e le “garanzie” sanciti sulla “Carta” firmata nel Secondo Dopoguerra del secolo scorso.
I fondamenti di quella “Carta” italiana (ma idealmente e astrattamente, per buona parte, di ogni “Carta” degli Stati nazionali) e, simultaneamente, il sistema politico democratico-rappresentativo che ne avrebbe dovuto rendere effettivi i principi e i valori lì statuiti sono stati completamente divelti dal sistema della governance bancario-finananzista e dissolti dal T-Party (Partito della Troika) delle Grosse Koalitionen. D’altronde Mario Draghi, il supremo sacerdote officiante della teologia capitalistica,ovvero del dio capitale-crisi, l’aveva già cantata chiaramente la messa: il “pilota automatico” se ne fotte di quale è o sarà la composizione “politica” dei parlamenti nazionali.

Ricollegandomi idealmente all'ultima mail inviata, qualche giorno fa, d'impulso (infatti là ci sono diversi refusi di ortografia sintattica ma non errori di sostanza) circa la questione dei migranti e le valutazioni/questioni che a riguardo sono sollevate sul piano teorico (le quali da marxisti-ça va sans dire-sono sempre, insieme, questioni pratiche, ovvero politiche), butto giù con altrettanto impulso ulteriori considerazioni. Mi si passi l'impostazione schematica e lo sviluppo rapsodico dei temi, ma rilancio così di seguito alcune sollecitazioni:
A)-"è dentro questo popolo" -ovvero quello composto qualitativamente oltre che quantitativamente anche e soprattutto dai soggetti migranti-“che dobbiamo stare […]”. Non vorrei proporre sic et simpliciter una sorta di  “paradigma migrante” per leggere la composizione –o l’eventuale auspicata ricomposizione- di classe, ma almeno (spero) si potrà ragionare in maniera più ponderata su un tale (s)punto (per altro non originale, poiché già proposto in passato).
Il Capitale è un rapporto di comando e di sfruttamento, pertanto in quanto rapporto comprende una relazione fra soggettività (mi scuso per l’apoditticità cartesiana). La cosiddetta “composizione organica” del capitale comprende il capitale costante e/o fisso e il capitale variabile e/o circolante. Dal punto di vista delle soggettività –ovvero dell’antagonismo che connota il rapporto del capitale-, la composizione del capitale-crisi appare (cioè,si presenta sempre più come) dis-organica e dis-integrata. Nella corrente pseudodialettica mediante cui opera il biocapitalismo globale per fissare il proprio dominio, ossia nel rapporto controllato tra sussunzione reale (produzione, circolazione, distribuzione e consumo di merci e valori direttamente determinati dal capitale; vedi:la divisione di classe inquadrata nella tradizionale società fordista, ivi compresi la “generazione” dei pensionandi/pensionati ecc.) e sussunzione formale (produzione, circolazione, distribuzione e consumo di merci e valori indirettamente controllate dal capitale; vedi.: “ geopolitica”,“capitale umano”, “imprenditoria si se stessi” ecc. ecc.), il lavoro vivo –cioè la soggettività che effettivamente produce valore- nella sua specifica eterogenea e diversificata attualità è sempre meno “rappresentabile” e sempre più si mostra autonomamente –soggettivamente- mobile fra i tempi e gli spazi imposti “politicamente” dai sistemi di governance capitalistica. Sopra questa pseudodialettica domina la logica pratica della sussunzione totale del sistema mondo al finanzcapitalismo. Ma è totale solo come rappresentazione dello spettacolo integrato. Nell’astratta comunità del denaro e in seno all’apparato di cattura semiotico (segni infinitamente circolanti senza referenze reali) del finanzcapitalismo si presenta dentro e si oppone contro la concreta ed eterogenea comunanza dei soggetti mobili -“precari” e “migranti”- delle società capitalistiche a livello globale. Quest’ultima soggettività che rivendica in modo antagonista il proprio diritto al comune –vissuto, voluto, desiderato e vivente, volente, desiderante- è altrimenti rappresentata dallo “spettacolo integrato” della Messe capitalistica globale, appunto, come capitale “variabile”, “circolante”, “umano”, “cognitivo” ecc. ecc., oppure, semplicemente, come individualistico “imprenditore di se stesso” e ranghi cadetti della stessa stirpe (es. i volenterosi “starter-up”); oppure è rappresentata come “seconda società” marginalizzata, alternativamente indicata come “generazionale” vittima accerchiata dalla razza dei “clandestini che rubano lavoro” o come indolenti fancazzisti –i cosiddetti “Neet”- che pretenderebbero reddito e assistenza pubbliche.
Ma “l’irrapresentabilità politica” di queste soggettività non è un sintomo ma un fatto: non si tratta di soggetti impolitici, bensì di pratiche politiche che né si riducono né  tantomeno si confondono con i soggeti e gli istituti della “rappresentanza” del sistema politico attuale (è questa rilevata obsolescenza della democrazia fordista l’unica convergenza oggettiva con il “pilota automatico” dei finanzieri officianti del capitalismo-crisi)

B) “si denunciano con chiarezza le nefandezze della UE senza indicare l’alternativa”. Qui tutto dovrebbe conseguire a quanto appena detto al punto A. Ci provo. Nelle attuali trasformazioni degli assetti del capitalismo globale, occorre saper guardare –da un punto di vista materialistico- oltre la nazione e oltre l’Europa. Emergono oggi in altri continenti e in altre aree geopolitiche contraddizioni rilevanti nei processi di integrazione, globale e regionale, al sistema-mondo capitalistico, prevalentemente attraverso governance e “convenzione finanziaria” (il rapporto regolativo debito-credito).  Gli spazi del conflitto anticapitalistico, come sempre, attraversano i confini (do you remember l’”Internazionale”?). È pertanto da questo punto di vista globale che occorre guardare “l’Europa”, registrandone la sua effettiva “provincializzazione” nel sistema mondiale: tanto dal punto di vista “oggettivo” delle dinamiche capitalistiche, quanto dal punto di vista “soggettivo” della qualità, intensità e quantità dei conflitti che nella medesima area globale si manifestano (vedi ad es., il mondo arabo, la Turchia, l’America Latina, la Cina ecc. ecc.). Da entrambi questi due punti di vista viene a consolidarsi un’idea tutt’altro che assurda: l’Europa e l’Occidente, dopo secoli (almeno cinque) di dominio capitalistico, non sono più il “centro” del mondo (seppure ancora “capitalistico”). Sembrerebbe pertanto opportuno riflettere più seriamente su questa “nuova condizione”, esplorando nuove potenzialità senza paura dei rischi a cui una tale indagine -politicamente orientata- potrebbe andare incontro.
Ciò detto, penso che il livello minimo su cui debba assestarsi una tale indagine resti quello dello spazio europeo. Al di là delle “nefandezze” e deficienze che obiettivamente mostra, l’Europa –o meglio ancora l’area euromediterranea- non può che essere il Kampfplatz (campo di battaglia) entro cui si può praticare una realistica lotta contro il sistema-mondo capitalistico. È da questo “orizzonte provincializzato” che ci si può interrogare sulle potenzialità delle alternative al capitalismo globale, banalmente per reinventare una politica di liberazione che non si costringa e si riduca a una –per chi scrive, perdente- strategia relegata agli angusti spazi delle “nazioni”. Quindi, l’Europa come immediato spazio dell’azione politica anticapitalistica, ovvero un’Europa da inventare come “linea strategica” e “opera di bene”.

Romano Martini

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