Prima di impartire benedizioni e reprimende al governo Renzi, Obama ha incontrato il solo abilitato a simili pratiche, Papa Francesco che forse anche per questa usurpazione, oltre che per i temi etici e le pericolose iniziative antirusse, lo ha accolto con un misurato distacco.
Dopo sono state soltanto profusioni di servilismo andate oltre le righe anche per un protocollo al quale eravamo rassegnati. Egli ha reso omaggio all’amico americano di sempre, Napolitano, dichiarandosi in piena sintonia; ha elargito sorrisi e scappellotti a Renzi, il quale ha tenuto a esaltarlo come suo modello nel ricordargli il suo slogan: “Yes we can”, quasi altrettanto stupido di quello di Clinton che non portò molta fortuna a Veltroni (e gli auguriamo altrettanta sfiga).
“ Yes we can, noi possiamo estendere il precariato come hai fatto tu” gli ha detto ed il presidente Usa lo ha elogiato, come se le politiche del lavoro in Italia dovessero riguardarlo. Poi però lo ha bacchettato sugli F35 per gli incauti annunci di tagli al programma di acquisti annunciati alla vigilia della visita. Questi erano ampiamente giustificati dal costo eccessivo, dallo scarso utilizzo di tali sistemi per la nostra aviazione, dall’inaffidabilità riscontrata dagli stessi americani nei test effettuati, tanto da rivangare le famose bare volanti, sempre della Lockheed, quelle che costarono care al presidente Leone; tralasciamo l’opinione pubblica contraria che tanto se ne fregano. Ma a mister president è bastato calibrare un tono un po’ più severo, ricordandoci che la pace non è gratis e costerebbe anche perdere i contratti di Finmeccanica sponsorizzati dal Pentagono. E Renzi si è premurato di rimangiarsi i tagli. Un monito è venuto anche perché si parli con una voce sola, quella delle sanzioni e della minaccia Nato, sull’annessione della Crimea. E Renzi si è prontamente rimangiato gli auspici a non isolare la Russia.
Successivamente, in uno slancio di italico orgoglio, ha sostenuto che noi possiamo sopperire ad una carenza energetica provocata dall’aggravarsi della crisi Ucraina. Parole apprezzate dal questuante della Casa Bianca venuto anche per vendere il suo gas di scisto al posto di quello russo. Probabilmente c’è anche la ragione della concorrenza del gas sui mercati europei dietro il sostegno americano agli avventurieri di Kiev; peccato che anziché con gli oleodotti come il sud south stream, voluto con lungimiranza da Berlusconi e da Putin per tagliare fuori l’Ucraina dalla rotta, dovremo riempire il paese di rigassificatori per approvvigionarci dagli americani. L’incontro con John Elkan è servito a magnificare la fusione Fiat-Chrysler come esempio di buona strategia di impresa, quella che taglia posti di lavoro e produzione nel paese che ha sempre munto per spostarsi dove chiama il mercato; intanto sulla rete impazzava il video degli operai ballerini di Melfi, a testimoniare che la fine della centralità operaia ha lasciato anche regressioni antropologiche.
E mentre se ne andava il povero Marino si affannava a giurare che c’era anche lui, anche se ai più è sfuggito.
Il Nobel per la pace-serial killer, quello che dà l’OK per colpire i bersagli con i droni, quello che minaccia di scatenare un guerra nel cuore dell’Europa, ha espresso i suoi desiderata; vedremo quanto diventeranno diktat per governo e parlamento, ma c’è poco da stare allegri
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