I nazisti invasero la Cecoslovacchia nel 1938, approfittando delle rivendicazioni delle popolazioni di lingua tedesca dei Sudeti, accelerando così la mattanza della seconda guerra mondiale. L’occupazione dei militari russi della Crimea evoca scenari altrettanto devastanti, anche se per ora le risposte di Unione Europea e Stati Uniti sembrano lontane dal concretizzarli. Eppure costoro, come per la Siria, avevano contribuito a provocare quella sollevazione intrisa di nazionalismo antirusso, neonazismo, inattuale anticomunismo, tanto inetta da aver rapidamente ragione di un governo altrettanto inetto. Avevano soffiato sul fuoco senza aver apparentemente compreso che non si va più alle rivoluzioni arancioni ma allo scontro vero con una nazione immensa e tornata al rango, se non di superpotenza, quantomeno di potenza d’area che non fa più sconti, come ribadito in Georgia, in Siria ed oggi nel suo cortile di casa. Viene quasi da pensare che la vodka abbia portato consiglio a Krusciev, quando cedette la penisola all’Ucraina lasciando però in eredità alla Russia un comodo casus belli per tempi più ingrati.
Non ci nascondiamo che spesso ragioni etnico-nazionali e religiose hanno trovato sponde nelle guerre che hanno visto imporsi o soccombere le istanze comuniste nel secolo scorso. Gli ucraini di minoranza tedesca, polacca , ungherese, romena , galiziana o tatara hanno le loro ragioni, così come i russi. Hanno avuto i loro motivi per abbattere le statue di Lenin durante le rivolte di piazza Maidan, animate da ragazzotti neonazisti e sostenute da reparti golpisti di esercito e polizia; effigi considerate simbolo di un oppressione nazionalista. Anche i loro nonni avevano i loro motivi per allearsi con i nazisti e fornire il personale più spietato e zelante delle SS, distintosi anche nelle stragi compiute in Italia. Ragioni che dobbiamo comprendere e, proprio per questo, combattere. Non così con i russofoni che si identificano in quelle statue ed hanno ripreso in mano tutte le leve delle istituzioni; certo non sono oggi lì a difendere un mondo che non c’è più (malgrado il consenso di massa che sta registrando il partito comunista) ma un’altra identità di nazione, per quanto antifascista.
Non ci nascondiamo che spesso ragioni etnico-nazionali e religiose hanno trovato sponde nelle guerre che hanno visto imporsi o soccombere le istanze comuniste nel secolo scorso. Gli ucraini di minoranza tedesca, polacca , ungherese, romena , galiziana o tatara hanno le loro ragioni, così come i russi. Hanno avuto i loro motivi per abbattere le statue di Lenin durante le rivolte di piazza Maidan, animate da ragazzotti neonazisti e sostenute da reparti golpisti di esercito e polizia; effigi considerate simbolo di un oppressione nazionalista. Anche i loro nonni avevano i loro motivi per allearsi con i nazisti e fornire il personale più spietato e zelante delle SS, distintosi anche nelle stragi compiute in Italia. Ragioni che dobbiamo comprendere e, proprio per questo, combattere. Non così con i russofoni che si identificano in quelle statue ed hanno ripreso in mano tutte le leve delle istituzioni; certo non sono oggi lì a difendere un mondo che non c’è più (malgrado il consenso di massa che sta registrando il partito comunista) ma un’altra identità di nazione, per quanto antifascista.
Difficile che l’intervento russo si fermerà alla Crimea, perdita in qualche modo messa in conto dagli apprendisti stregoni che hanno illuso gli eversori; la partita vera -per cui si propone Berlino (della Merkel e del manager Gazprom Schroeder) come mediatore a fronte delle minacciose indecisioni obamiane- potrebbe giocarsi sui confini orientali, quelli sui quali la Nato è impaziente di posizionare le sue batterie. Quei confini destinati a definire oltre che la sfera di influenza della nuova Russia, anche quelli dell’ Europa sub-imperialista ed atlantica, sia che noi “paesi-terroni” restassimo dentro l’eurozona, sia che rimanesse lo zoccolo duro centro-nord europeo. Il rischio concreto di una guerra continentale pone ancor più l’urgenza di rompere con questa costruzione dei poteri oligarchico-finanziari per avviare relazioni di autentica solidarietà tra paesi a partire dal recupero della rispettiva sovranità popolare, relazioni tanto più necessarie per scongiurare le catastrofi che storicamente producono le crisi da sovrapproduzione assoluta di capitali
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