Izzat Ibrahim al-Duri"...aggrapparsi al popolo, tutto il popolo da Zakho al Fao. Il popolo è il luogo d’accoglienza sicura e fedele della Jihad e dei Mujaheddin ed è il sostegno fondamentale ed unico della nostra Jihad. Noi preghiamo i nostri fratelli nelle fazioni islamiche e della Jihad di superare i confessionalismi, le etnie, i regionalismi e le contrapposizioni cittadini-contadini". Bisogna che sappiano che il nostro popolo autentico nel sud e Centro Eufrate è quello che ha affrontato la tempesta febbrile khomeinista negli anni 80 del secolo scorso ed è lui che ha messo in ginocchio gli eserciti safavidi ed ha offerto i più cari e grandi sacrifici. Questo popolo oggi è felice per le nostre vittorie, più di altri figli dell’Iraq, avendo subito a lungo l’aggressione, l’ingiustizia, la tassazione ingiusta, gli abusi e la divisione" "...accordare il perdono, la clemenza e l’indulgenza a quanti hanno sbagliato ed a quanti, spinti dalla necessità, sono stati costretti a lavorare con il governo dei collaborazionisti e dei nostri servili traditori, prendendo esempio dal nostro amatissimo profeta, che un tempo perdonò coloro che meritavano la morte.
Abbiamo sempre condannato l'uccisione di innocenti e civili e condanniamo fermamente quella dei membri dell'esercito, della polizia e dei funzionari governativi. Condanneremo tutti gli atti orribili, contrari alle leggi celesti e secolari, subiti dagli sciiti, dai membri delle varie sette religiose e dalle varie etnie"
"I media hanno deformato le mie parole quando ho detto che i combattenti di Al-Qaida sono i nostri fratelli nella jihad.
Avevo aggiunto: alla condizione che cessino di prendersela coi civili, con la polizia e con l'esercito e che concentrino i loro sforzi contro gli occupanti ed i loro scagnozzi. Il nemico principale è l'Iran rappresentato, in particolare, dalla Guardiani della rivoluzione iraniana – i Pasdaran – e dalla brigata Al-Quds e i suoi alleati.
La Resistenza Patriottica si applica solo, come ho detto, contro gli invasori.
La Resistenza non uccide i civili, non attacca i caffè, i luoghi di culto, i mercati, gli stadi.
Il dovere di Resistenza è un diritto sacro, qualunque sia il nemico: americano, britannico o iraniano.
Noi facciamo una netta distinzione tra terrorismo e Resistenza.
Il nostro piano d'azione è chiaro come il sole.
Non bisogna dare per scontato tutti i comunicati firmate da Al-Qaeda, dallo Stato islamico del Iraq e del Levante o da Daash … La maggior parte di essi sono inganni dei media" (fonte intervista di Gilles Munier)
"L’Arabia Saudita è il baluardo della resistenza contro ogni complotto che ci vuole travolgere sia come esistenza che come identità. Se non fosse stato per l’Arabia Saudita, il miscredente Iran avrebbe avuto la supremazia nella nostra regione emanando corruzione e sventure.
Dio conservi il regno Saudita che sta proteggendo la rivoluzione del …popolo siriano, sta proteggendo il Bahrein contro i rivoltosi e sta conservando l’integrità del Golfo.
La fede in Dio dell’Arabia Saudita sta proteggendo anche l’Iraq, l’Egitto, lo Yemen, il Libano e la Somalia. In Iraq non ci sono terroristi ma rivoluzionari" (fonte dichiarazioni riportate da rete Al Manar e rivista Ahram al arabi)
Queste dichiarazioni di Al Douri confermano divisioni circa la conduzione della guerra delle forze ribelli sunnite malgrado le necessitate alleanze, indicando al contempo differenti esiti strategici, essendo gli ex baathisti e le altre forze ad essi collegate (ad esempio quelle sufi) principalmente interessati all'unità del paese che si vuol riportare ad un egemonia sunnita ma senza applicare la pulizia settaria, mentre Isis e le forze jihadiste di ispirazione wahabita - proclamando il califfato - evidenziano un differente progetto che necessita una omogeneità politico-confessionale per il quale si rende necessaria l'assimilazione forzata o il trasferimento delle popolazioni ostili o potenzialmente ostili, praticando anche il terrore di massa che le induce alla fuga. Ma l'attestato all'Arabia Saudita, quella stessa che fornì le basi per l'attacco al suo paese nella prima guerra del Golfo, lascia pochi dubbi su quali siano invece i suoi principali finanziatori, così come delle principali armate di "liberazione" che si contendono il futuro dell'Iraq e della Siria. I miliziani dell'Isis sono definiti a tutt'oggi opposizione (o ribelli) in Siria e terroristi in Iraq dai media occidentali mentre per quelli sauditi sono comunque liberatori. L'accelerazione data da Obama all'intervento americano, comunque prevedibile, sembra voler propendere per una unità dell'Iraq, prima che la mobilitazione sciita renda irreversibile la guerra settaria, ma soprattutto per ridimensionare le aspirazioni al califfato; il ruolo dell'Isis va bene finchè combattono per rimuovere il regime di Assad ma non quando puntano a costruire una entità politica a cavallo degli stati definiti dai confini coloniali. I pretesti umanitari, per quanto siano reali e da condannare le pratiche di vera e propria pulizia etnica - pratiche che potrebbero essere fatte proprie anche dalle forze curde che difendono i loro territori, perchè nessuno vuole rischiare quinte colonne infiltrate in casa in questa situazione - servono ancora una volta per nobilitare l'ennesima ingerenza imperialista. Soltanto che oggi si fatica ad intravedere la formazione di un fronte antiimperialista, in quanto gli attori che si contendono la supremazia nella regione, a cominciare da Iran ed Arabia Saudita stanno assumendo da tempo un ruolo sub-imperialista che sta approfondendo la guerra confessionale dentro l'Islam ed allontanando la prospettiva di autodeterminazione dei popoli, a cominciare da quello palestinese. Nella avanzata delle forze sunnite ci sono certamente elementi preminente di guerra di liberazione, soprattutto per quanto riguarda l'adesione delle tribù, il cambio di campo di una parte consistente dei militari iracheni sunniti con i loro arsenali (oltre i 90.000, secondo alcune stime) e la continuità delle formazioni che rispondono all'ex re di fiori in una tenace resistenza che si prolunga dalla invasione del 2003. Ma è innegabile che tale resistenza ha in parte cambiato pelle accentuando l'elemento islamico su quello socialista e quello antipersiano (il demonio savafide) su quello antiamericano. Così come è innegabile che il governo di Al Malicki si sia rivelato settario ed inetto, oramai imbarazzante anche per la nuova dirigenza iraniana impegnata a distendere i rapporti con l'Occidente, deciso soltanto nel reprimere l'ampia minoranza sunnita, fornendo così le basi popolari per l'avanzata del jihadismo; sia di quello nazionalista che quello portatore di un progetto internazionalsita, rimpinguato da combattenti e finanziamenti stranieri ma oramai disponibile di proprie consistenti risorse. Quest'ultimo potrebbe rivoltarsi in seguito ai suoi attuali sponsor, come avvenne con il quaedismo, ma allo stato attuale rimane ancora fondamentalmente eterodiretto, come in Siria. I bombardamenti americani di questi giorni, dopo che il fronte ribelle stava impossesssandosi delle aree petrolifere più ricche tra Mosul ed Erbil, non indicano certo che si può annoverare l'Iran, le organizzazioni popolari sciite del Medioriente o l'aspirazione dei curdi all'autodeterminazione nei fattori che favoriscono l'imperialismo Usa; semmai confermano la complessità di uno scenario, dove le "convergenze parallele" possono lasciare rapidamente il passo a nuove ostilità nel perseguimento dei propri interessi d'area. E questo vale anche per un ordine imperiale occidentale dove la guida americana da segni di indebolimento, anche nella visione strategica, pur se mantiene un notevole decisionismo quando si mettono a rischio le fonti petrolifere. Mentre la Russia di Putin sembra avere per ora una linea chiara sul sostegno ad Iran e Siria, gli Usa e l'Occidente continuano a contrastare od assecondare le emanazioni jihadiste di Arabia saudita, Qatar e Paesi del Golfo, gli interessi d'area di Egitto e Turchia, loro alleati "variabili", più secondo il principio del divide et impera che per una visone strategica di lungo periodo. E non sappiamo per quanto ancora l'intervento americano rimarrà limitato all'aviazione, tenendo a mente il precedente libico, mentre la nostra ministro Mogherini già scalpita per un coinvolgimento diretto delle nostre forze armate.