lupo

venerdì 22 marzo 2013

Fiscal Compact, ennesimo golpe



Con l’approvazione del fiscal compact che entrerà in vigore a gennaio 2013 e l’assunzione degli oneri richiesti per l’accesso all’Esm, il fondo salva-stati, o meglio spenna-stati (per ora in naftalina in attesa delle decisioni tedesche) si compie un ulteriore passaggio verso la cessione degli ultimi attributi di sovranità nazionale ai poteri finanziari e sovra-nazionali, tanto più che questo avviene dopo l’inserimento in costituzione dell’obbligo al pareggio di bilancio.
Per poter attingere all’Esm si dovranno accettare controlli e condizioni imposte dalla preposta commissione, dalla Bce ed in ultima istanza dal Fondo Monetario Internazionale, i quali detteranno direttamente le politiche economiche e non solo; dal momento che il cosiddetto nervosismo dei mercati risulta molto sensibile agli avvicendamenti politici dei paesi presi sotto mira, questi organismi, in combutta con le grandi banche e le famigerate agenzie di rating finiranno per metter becco anche sulle leggi elettorali, sulla formazione del quadro politico e finanche sulle politiche repressive, come paventato dalla prospettiva della creazione di corpi di intervento europei in materia di ordine pubblico e dalla auspicata fusione di prerogative degli eserciti nazionali  in corpi e funzioni europee, come indicano anche nostri analisti militari. Nel merito del fiscal compact possiamo sintetizzare che l’impegno richiesto è di azzerare il debito oltre il 60% del prodotto interno lordo in 20 anni e questo, ad un ritmo di un 20mo all’anno significherà per l’Italia sborsare circa 50 ml  da aggiungere alle normali finanziarie o alle finanziarie camuffate, come la recente standing review, di soli tagli alla spesa. Ciò valutato in linea teorica per un debito costante mentre in realtà si dovrà rincorrere la esponenziale lievitazione degli interessi sul debito in una condizione di recessione e caduta del pil. Inoltre il patto impegna i paesi aderenti ad attestarsi su un deficit dello 0’5 % rispetto al pil in ragione del 3% richiesto dal vecchio patto di stabilità, sancendo di fatto la rinuncia ad ogni velleità neokeynesiana di espansione della domanda. Inutile dire che questi miliardi verranno presi dalla ulteriore riduzione dei salari e tagli ai servizi, oltre che dalla svendita del patrimonio pubblico e delle aziende pubbliche o partecipate più appetibili, verranno succhiati anche dalla ricchezza privata degli italiani, attaccando beni e risparmi delle classi medio-basse e ciò che è rimasto ai lavoratori. Questo evidenzia sempre più chiaramente il compito del cosiddetto governo tecnico:  svendere i pochi gioielli di famiglia rimasti, ridurre drasticamente la forza lavoro ed aumentare il saggio di sfruttamento su quella rimasta, demolire lo stato sociale, così che quando noi ed altri paesi ci vedremo comunque fuori dall’euro ci troveremo in mutande,  con capitali stranieri che avanzeranno diritti e contenziosi  sui nostri beni,  nel frattempo usurpati, se mai provassimo ad avviarci verso una economia socializzata ad indirizzo nazionale e protezionistico. I ladri tecnici, i vari Monti, Papademos, Draghi, questa banda degli onesti forgiati alla scuola di Goldman Sachs, la banca di affari americana tra i maggiori responsabili della proliferazione dei derivati e della bolla del 2008, non avrebbero potuto agire senza i complici politici locali, i basisti di destra e di sinistra impegnati soltanto a difendere i loro privilegi di casta servile ed a soccorrersi a vicenda. Guardando al caso italiano, quale miglior aiuto ad un Pd in crisi e con un elettorato scoraggiato e deluso poteva essere dato più dell’annuncio del ritorno in campo di Berlusconi, con la insperata possibilità di giocarsi ancora una volta la consunta carta dell’antiberlusconismo? è scontato che i poteri sovranazionali puntano ancora una volta su questi zombies per succedere a Monti o reincoronarlo, nella speranza che contengano al meglio il radicale conflitto sociale alle porte. Sarà invece proprio la resistenza e la ribellione popolare, come quella che ancora una volta sta dando un esempio al paese in Val din Susa, a porre all’ordine del giorno l’uscita dall’Europa dell’euro e dai suoi diktat capestro, un uscita che dovrà accompagnarsi a misure che indichino una rinnovata via al socialismo, fatta di nazionalizzazioni, protezionismo, fronti solidali ed aree di scambio con i popoli  e paesi europei dissanguati dal mercato e dalla moneta comune di questa UE imperialista; una via che dovrà porre immediatamente la ricusazione del debito, l’esproprio e la confisca per le imprese che delocalizzano, il blocco dei capitali in fuga ed un grande piano di investimenti pubblici per una economia socializzata che soddisfi i bisogni essenziali e non finalizzata al profitto e ad ingrassare gli speculatori. Non si tratta del solo ritorno alla lira come iniziano, alla buon ora a strombazzare anche i media di destra, (…per la sinistra italiana non c’è speranza, continueranno a dire che dobbiamo restare in Europa anche quando saranno tutti usciti); si può uscire dall’euro nell’interesse di parte dello stesso capitalismo italiano, quello che spera di guadagnare dalle svalutazioni competitive, mantenendo disoccupazione e salari da fame, oppure con le misure che diciamo noi - e non sarà comunque una passeggiata - ma i sacrifici saranno fatti per noi stessi, nell’interesse dei lavoratori e delle classi popolari.
L.u.p.o.               

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