lupo

lunedì 12 gennaio 2015

#JeNeSuisPasCharlieHebdo#

I fatti di Parigi, pur non essendo paragonabili alle stragi di Madrid e Londra per dimensione e linearità di obiettivi, hanno da subito provocato reazioni addirittura più sgomente. Certo ci sono state le scontate alzate di scudi dei nuovi aspiranti crociati antiislamici; c’è stata una commozione neanche lontanamente condivisa per le migliaia di vittime nigeriane degli stessi giorni, ma questo fa parte del senso di superiorità occidentale e della nostra vista corta. Ma evocare un “ 11 settembre” dell’Europa va  oltre tutto questo e non è da ritenere del tutto infondato, almeno se si cerca di capire le peculiarità di questi attentati e la portata delle reazioni, al netto sia della comprensibile indignazione che degli isterismi collettivi indotti e cavalcati dai media. Si impone anzitutto di separare gli elementi essenziali da quelli secondari e tra primi c’è senz’altro la scelta di colpire la redazione del giornale satirico.
 Non riteniamo si tratti semplicemente di punire la satira contro il profeta e la religione islamica, attentando alla libertà di espressione. Charlie Hebdo si distingueva per una satira spesso non particolarmente raffinata (come quando accostava il Corano agli escrementi) e dall’11 settembre tendeva  ad una meno umoristica indignazione contro quanti riteneva professassero l’antiamericanismo. Si è fatto un accostamento al nostro “Male” che però aveva un target religioso prevalentemente “nostrano” e sparava effettivamente a 360 gradi, mentre per gli emuli francesi l’Islam era una vera ossessione. Una ossessione che dietro la grossolanità di molte vignette rientrava in una analisi invece raffinata dei punti deboli del “nemico islamico”, a cominciare da quello interno. Parliamo di nemico perché, in questo come in altri casi gli strumenti della satira e della libertà di espressione possono diventare trincee in una  sorta di consapevole guerra ideologica. Consapevole, per così dire, da entrambe le parti. I governi che si danno il cambio all’Eliseo hanno il problema di gestire un’ampia fascia di popolazione (quasi il 7%)musulmana, la maggior parte di nazionalità francese; problema che sì è aggravato negli anni per via del fallimento della politica di integrazione alla francese e per l’andamento demografico. Dopo la guerra di Algeria De Gaulle aveva elaborato una politica di decolonizzazione  a modo suo, che a livello interno doveva tradursi in una integrazione intesa come assimilazione della popolazione di provenienza algerina o coloniale. Se questa sembrava aver funzionato per la prima generazione, i padri, si è rivelata fallimentare con i figli e soprattutto con i nipoti, quella terza generazione cui dovrebbero appartenere gli attentatori. Il richiamo identitario di una religione - che nella crisi della sinistra e quindi di un alternativa al capitalismo, si trova anche ad adottare tanti orfani di ideologia - va combattuto anche sul terreno ideologico. Per disinnescare tante potenziali quinte colonne di una guerra con paesi, organizzazioni ed entità islamiche, che si prevede lunga e che è motivata principalmente dal declino dell’ordine unipolare  e dalla corsa alle risorse energetiche, occorre demoralizzarle sul terreno dei  valori etici, disintegrarne le peculiarità culturali di provenienza od acquisite, minarne la fede nel sistema teologico. Ecco quindi che C H non è semplice e disinvolto esercizio di libero pensiero, ma parte di un progetto che comprende quanto gli elementi sovrastrutturali siano fondamentali per vincere sul terreno di quelli materiali. Semplificando: se ci sono giovani emarginati o ben acculturati disposti ad immolarsi per Allah nei centri dell’Impero in decadenza questo riduce il vantaggio tecnologico-militare e quindi occorre agire sui loro meccanismi psicologici identitari. Non è un’approccio troppo diverso dai tristementi noti protocolli di Abu Ghraib e Guantanamo, dove le sevizie erano calibrate per l’annullamento della personalità etico-morale del combattente, facendo leva su shock psicologici oltre che cavi elettrici, percosse e trapani.  Emblematiche le torture sessuali e l’alimentazione forzata per via rettale per quanti attuavano lo sciopero della fame. Per non dire dell’Heavy Metal mandato 24 ore su 24. Questa funzione non è ovviamente unica dei media francesi e certamente non sarebbe stato colpito un giornale svizzero che avesse pubblicato le famose vignette sul profeta, quindi occorre tenere  ben presente quale sia il protagonismo francese di questi ultimi anni sullo scenario prevalente delle sue ex colonie (musulmane francofone) ed in Libia, dove hanno pisciato fuori  dal loro vaso ma ben dentro il  “nostro”.  Da Sarkosy ad Hollande si è evidenziato un protagonismo confusionario, spesso in contrasto con gli Usa e la Nato, teso a ritagliarsi una nuova sfera di influenza in parte del proprio spazio ex coloniale. La guerra alla Libia è stata fortemente voluta  dai francesi in maniera bipartisan, anche per sostituirsi al ruolo egemone degli italiani (tra i quali si è distinto l’utile idiota Bersani), costringendo gli Usa all’intervento, anche per cercar di tamponarli. Lì i servizi francesi avevano, se non favorito, almeno lasciato fare i loro foreign fighters. Facemmo una facile previsione quando dicemmo che la guerra non era chiusa e si sarebbe approfondita nell’Africa sub-sahariana. Pochi mesi dopo la caduta di Gheddafi il figlio minore Khamis girava per Bani Walid ed iniziava l’avanzata in Mali delle milizie islamiche, addirittura in una inedita alleanza con le milizie tuareg; quelli che in Libia avevano combattuto su fronti opposti si prendevano il nord del cortile di casa francese grazie agli arsenali confiscati nelle caserme libiche. I francesi sono stati costretti a prolungare una guerra in cui sono ancora impantanati e di cui gli attentatori chiedono conto. Con la Siria di Assad, invece, i servizi francesi non solo hanno tollerato ma favorito l’afflusso dei loro bravi ragazzi musulmani combattenti per la libertà, come gli attentatori.  Convinti che un nuovo potere ad essi grato avrebbe consentito di riprendersi un ruolo egemone nell’area, conteso dalla Russia alleata degli sciiti e dagli USA che giocano sporco su più tavoli. Il socialista Hollande ha cercato di tirare per la manica Obama, quasi riuscendovi, ma stavolta sarebbe costato un intervento diretto russo ed hanno dovuto far marcia indietro. Poi l’IS si è fuso con la resistenza sunnita irachena  ed  ex baathista, diventando altro dal giocattolo in mano ad un principe saudita; questo ha costretto in secondo piano le velleità di grandeur della Francia per rifarsi ad una real politik che doveva rivalutare il “persiano savafide” che prima si voleva scalzare da Siria e Libano, ed anche di questo cambio gli attentatori chiedono conto.
Curiosa,  oltre che la gestione dell’intelligence, anche la gestione mediatica della vicenda; i video diffusi sono sicuramente i più efficaci di propaganda jahdista  rispetto a tutti quelli finora attribuiti all’Isis.  Più scontati i commenti  di giornalisti ed opinionisti vari, solerti a snocciolare analisi di circostanza adatte solo a mantenere posti e stipendi, spesso in reciproca contraddizione meno su un punto: tra i morti francesi non vengono contati gli attentatori. Non i tratta semplicemente di un lapsus o se lo è può nascondere  un arruolamento in un fronte atto a promuovere una inedita strategia della tensione. I trombettieri di casa nostra, i vari Ferrara, Della Loggia ecc… lo esplicitano chiaramente ma molti altri intellettuali (o presunti tali) suggeriscono l’imminente scenario della guerra civile europea. Questa è una eventualità non del tutto fuori dalla storia e dalla possibile gestione della crisi epocale da parte delle oligarchie dominanti imperialiste d’Occidente: guerre all’esterno per mantenere un ruolo egemone rispetto a Russia e Cina, per impedire una unione omogenea rilevante nel mondo islamico e scatenamento di tante “notti dei cristalli” soprattutto sul fragile e conteso suolo europeo, per distrarre i ceti proletari impoveriti facendoli un po’ scannare tra loro.  Certo tra la Francia e gli Usa, tra questa e la Nato, tra i paesi della stessa Nato abbiamo visto come esistano contrasti ediscrepanze, manifestatesi con evidenza nella crisi d’Ucraina;  le incongruenze registrate nella collaborazione che sulla carta dovrebbero avere servizi americani ed europei, Francia compresa, in materia di antiterrorismo possono spiegarsi in questo senso ma la direzione di marcia colta da molti analisti, non solo d’accatto, va oltre queste contingenze e potrebbe convogliarsi pericolosamente (e malauguratamente) nella via dello scontro di civiltà. Probabilmente non si avvererà sulle linee gravitazionali indicate da Huntington, ma potrebbe definirsi nella complessità delle società europee, divenute multietniche e dove l’islam assume una rilevanza culturale e demografica rilevante. Per scongiurare tali sciagurati scenari non basta inneggiare al meeltin pot, gratificarsi dell’”esotico” che assume i nostri valori o disvalori, intendere l’integrazione come assimilazione o sproloquiare di moderati ed integralisti.  A meno che il nostro paesello non sia un ‘eccezione è difficile trovare un musulmano che palesemente, od in cuor suo, non giustifichi gli attacchi di Parigi mentre, per contro,  comincia a farsi strada una fasulla ostentazione identitaria  anche da chi prima manifestava solo razzismo qualunquista e con questo dobbiamo fare i conti. Ma al tempo stesso dobbiamo chiederci: dove sono i nostri soldati e da quanto tempo? I soldati occidentali, compresi gli italiani, sono per la maggior parte nei paesi islamici da ben prima che iniziassero gli attacchi su suolo occidentale. Noi italiani andammo ad invadere la Somalia, contravvenendo per la prima volta all’art.11 della Costituzione, quando non c’era nessun problema di attentati od arruolamenti nel nostro paese. Vano citare Francia ed Usa che ben prima dell’Algeria e dell’11 settembre avevano avuto modo di non farsi troppo amare, sia dai popoli islamici che dagli arabi laici. E’ stato rilevato come oggi gli Usa e l’Europa non abbiano una strategia in Medio Oriente; magari fosse vero avremmo evitato i fatti di Francia, ma anche quelli di Atocha e Londra. In realtà sembra che la vecchia teoria del Caos creativo del duo Cheney -Rumsfeld ispiri ancora i nostri interventi nelle missioni estere, con un bel po’ di confusione aggiuntiva e perseguendo più il “divide” dell’”impera”. La Libia e la Siria sono lì a dimostrarcelo. Assad doveva essere rovesciato per garantirsi un retroterra sicuro in modo da regolare successivamente  i conti con l’Iran: Al Noushra, Isis ed altri sono state finanziate, sia direttamente che dai “nostri”  alleati arabi; si sono tollerati se non incoraggiati i giovani musulmani europei a partire per rovesciare il tiranno ma dopo due anni queste organizzazioni cambiano pelle ed allora cambiano appoggi e finanziamenti dei governi occidentali. Oggi devono rivalutiare l’Iran, accolgono le interessate scomuniche degli attentati da parte di Nashrallah, finanziano i curdi ed incoraggiano le giovani ed  i giovani curdi a partire per rovesciare il nuovo tiranno barbuto. Si stanno studiando dispositivi legali per condannare gli uomini e le donne che partono per arruolarsi nell’Isis e si lasciano fare gli uomini e le donne che vanno ad arruolarsi nelle milizie curde;per tacere del business dei contractors. Sia chiaro che appoggiamo le rivendicazioni storiche del popolo curdo e comprendiamo l’appoggio “a pelle” dato dalla sinistra antagonista ai combattenti dell’YPG, ma risparmiamoci la retorica alterglobalista o femminista; ci sono donne anche nell’IS  e la condizione delle donne non è facile nemmeno nei villaggi curdi, al di là delle interviste dei media mainstream; inoltre la prigionia di Ocalan, ha provocato alcune mutazioni nell’impostazione marxista dei movimenti della sinistra e dei lavoratori curdi, accentuandone l’aspetto nazionalista e la duttilità nelle alleanze.
Queste sommarie considerazioni non sono finalizzate a sostenere un campo come facemmo con la Resistenza irachena  o come continuiamo con la causa palestinese. Cercano piuttosto di interpretare una realtà che si è fatta estremamente complessa e contradditoria rispetto agli schemi che fino a pochi anni orsono ci avevano fatto prendere posizioni nette ma, soprattutto, vogliono rigettare tanto l’intruppamento imperialista (riguardo alla Francia: neocolonialista) pro Charlie Hebdo che i distinguo forcaioli (o meglio ghigliottinari) della Le Pen ed i suoi sodali italiani. Sul Front National poi c’è una certa contraddizione riguardo consensi ottenuti proprio nei quartieri delle banlieues, anche tra gli strati popolari islamici, ma questi attentati possono farle prendere tanti consensi, rispetto a quanti può perderne, ed il Fronte traduce bene una corrente prassi politica che tende a ridurre la complessità delle moderne società con l'esclusione, come da noi fa la Lega. Ma la politica "buonista" non è da meno e proprio mentre agita la retorica dell'integrazione deve, per millantare una parvenza di rappresentanza, legittimarsi in virtù di processi di esclusione: sulle soglie di sbarramento, sulle soglie di maggioranza (sempre più risicate per via dell’astensionismo), sulle soglie di cittadinanza. Oltretutto l’alzata di scudi contro l’immigrazione qui suona del tutto paradossale visto che gli attentatori sono francesi ma tutto può tornar buono per approfondire la tendenza alla guerra civile o comunque allo scontro sociale su basi identitarie.
In conclusione ed a scanso di equivoci vogliamo ribadire, in estrema semplificazione, le nostre posizioni sul Medio Oriente. Per la Palestina due popoli per uno stato; Putin non è il massimo e neanche Assad, ma l’influenza russa è necessaria per contrastare l’egemonia Usa nell’area (e per alimentare contraddizioni che possono favorire processi rivoluzionari anche a casa nostra).  La guerra in Siria per quanto parzialmente fondata su ragioni autoctone è soprattutto foraggiata da Arabia Saudita, Turchia, Quatar, stati occidentali che si stanno ricredendo.. ed è meglio che tutti questi attori la perdano. Il popolo curdo ha diritto ad avere una sua statualità e continuità territoriale. L’Isis non è la stessa cosa in Siria ed in Iraq; in Iraq la resistenza sunnita e baathista che non aveva aderito ai collaborazionisti Consigli del Risveglio del 2006, ha ripreso il controllo delle aree a maggioranza sunnita, alimentandosi dalla scelta del governo Al Malicki, dopo le elezioni dell’aprile 2014, di togliere ai sunniti tutti i posti di potere. L’opzione del Califfato nelle aree a maggioranza sunnita è, in prospettiva, un opzione storicamente possibile e prima le potenze d’area e l’Occidente se ne fanno una ragione più disastri si evitano. Ogni pratica di pulizia etnica va condannata e combattuta, da chiunque praticata, ma ci opponiamo ai bombardamenti, all'uso dei droni ed all'invasione di terra che si cercherà di giustificare con gli attentati. E’ evidente che non c’è nessuna linea unificante tra queste opzioni e le  forze concrete oggi in campo, tantomeno tra gli sponsor che le sostengono; proprio per questo occorrerebbe sottrarsi al ruolo di sponsor in causa per acquisire un ruolo quantomeno di neutralità e ricerca di una equilibrio tale da garantire una transizione, se non pacifica, la meno devastante possibile all’inevitabile tramonto dei confini ex coloniali, come al tramonto del modello d’accumulazione occidentale. E sarebbe auspicabile soprattutto per scongiurare che nelle nostre città dal rischio della guerra tra poveri e del cosiddetto terrorismo molecolare si passi addirittura alla guerra “localizzata” di civiltà.



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