lupo

venerdì 26 settembre 2014

Font D'Art

Un movimento per rivitalizzare il luogo (Fonte Magna + campetto dei frati) ... live music... dj set...esposizioni d'art...visual performance... spettacoli danza...artigianato artistico...food & drinks ... e andiamo!!!



LEspace-Est-A-/VOUS*


0.    Oltrepassando le odierne (apparenti) dicotomie Pubblico-Privato, Stato-Mercato, Politica-Economia ecc., quali sono i reali fattori costitutivi del legame sociale? Quali sono i veri presupposti, le pratiche concrete che presiedono a qualunque forma di istituzionalità (“artificiale”,“contrattata” e comunque convenzionale: la “norma”, il “denaro” ecc.)? Senza aver la pretesa di fornire definitive risposte a tali enormi questioni, si può almeno dire che ogni logica di istituzionalizzazione (pubblica o privata) risponde a un piano più profondo dell’agire –ovvero, delle razionalità e delle espressività individuali/collettive- che si situa alle radici di ogni processo di socializzazione e, pertanto, di ogni sua possibile normalizzazione in norme e convenzioni.

1.    L’origine delle convenzioni/regole e delle istituzioni (ugualmente quelle formali-reali del “diritto pubblico” -in ogni sua articolazione amministrativa territoriale- e quelle reali-formali del “Mercato” –in ogni sua articolazione dal diritto privato alle mediazioni del denaro –sia quello virtuale dei conti elettronici, sia quello materiale della moneta per regolare i cd. “liberi scambi”-) sta nell’agire sociale: pertanto non c’è mai una “origine perduta” da ripristinare, bensì un processo creativo in continuo divenire da saper-agire. Che poi questo agire individuale/collettivo sia, oggi, “catatonicamente” determinato e retto dalla formale legalità astratta o dall’individualismo competitivo-concorrenziale neoliberista dei mitici “mercati”, e non sia piuttosto regolata da una autonoma, indipendente e dinamica cooperazione sociale, è appunto il problema evidente di una società assoggettata a vari feticismi e asservita al capitale. Già, poco più di quattro secoli fa, così altri si ponevano la stessa questione: “Per ora vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato e non potrebbe far male ad alcuno, se non nel caso che si preferisca sopportarlo anziché contraddirlo. […]E' così che gli uomini tutto desiderano eccetto la libertà, perché forse la otterrebbero semplicemente desiderandola” [Etienne De La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria]

2.    La politica –quella che oggi governa e amministra i territori- si ricorda della cultura e dell’arte solo di rado, e per lo più solo strumentalmente a fini propagandistici, onde ottenere “consenso” oppure, retoricamente, per darsi un certo “lustro” istituzionale. “Ben altre” –si sente spesso dire- “sono le questioni ‘serie’” da mettere in cima alla propria agenda. Ecco allora dispiegarsi uno specifico marketing politico atto a pre-formare l’opinione pubblica e il “senso comune” –dividendoli in due fazioni, come da consunto costume italico-, e costruendo un ordine del discorso dominante ridotto alla surrettizia bipolarità: “con la cultura non si mangia” vs “la cultura è il petrolio italiano”. Evidentemente, queste due false alternative, con la povertà linguistica dello slogan, fanno entrambe capo alla medesima ed unica ragione realmente dominante e determinante al giorno d’oggi: il profitto economico. A questa “razionalità” del neoliberismo la politica si è volontariamente asservita, dimenticando che essa dovrebbe condividere con la cultura in generale, e con l’arte in particolare, la capacità di esprimere, rappresentare, modificare e criticare le nostre forme di vita, i nostri modi di convivere e di stare nel mondo.
3.    Ovvio, considerate le condizioni di precarietà e di miseria quotidiane in cui ormai la quasi totalità di noialtri versa (a fronte, invece, di sempre maggiori profitti e rendite –economiche e politiche- che rifluiscono nelle tasche di pochissimi noti), ci fa senz’altro urlare: “prima il pane per tutti!”. Ma questo “primato del pane per tutti” potrà mai divenire possibile in una società ridotta a ragionare solo con gli umori della “pancia”, disattivando i neuroni del cervello e così accettando come un dato incontrovertibile di “senso comune” il primato del “mercato”, la colonizzazione-totalizzazione economica di ogni aspetto e ogni spazio della vita, senza nemmeno saper immaginare un’alternativa?
3.1.        Chiediamoci: è possibile vincolare la cultura, la politica, i diritti, gli spazi e i luoghi per le forme di socializzazione al primato del profitto? È quest’ultimo l’unico presupposto di valorizzazione sociale? o piuttosto è possibile dar luogo a forme alternative, autonome, indipendenti di (auto)valorizzazione sociale?
4.    Mettere sul tavolo simili questioni significa allora iniziare a parlare  della riappropriazione -e iniziare a praticarla collettivamente- delle piazze, dei luoghi/spazi e degli edifici della città nei quali poter passeggiare, sedersi, conversare, esprimersi, creare, socializzare e, da ultimo ma non per ultimo, poter “banalmente” abitare. Significa, in altri termini, riappropriarsi di ricchezze comuni –che socialmente produciamo, nonostante l’ideologia (eppure operativa) della competizione di tutti contro tutti-; riappropriarsi di luoghi e spazi comuni che appartengono alla storia delle nostre comunità; riappropriarsi della capacità di progettare in comune nuove istituzioni, nuove forme di convivenza in comune adeguate ai tempi che stiamo attraversando. Riappropriazione di spazi, ricchezze e cultura comuni come forma di pratica indipendente e “dal basso”, per un autogoverno contro le imposizioni e l’esproprio coatto dei sistemi di governance del “Pubblico” e del “Privato”, ovvero del “Politico” odierno e del Mercato.
5.    Per rimanere (limitandoci assai) nell’Italia degli ultimi venti anni, le istituzioni ufficiali -pubbliche e statali- non solo si sono prodigate nel derubricare in fondo alle proprie agende politiche le voci “cultura, arte, sociale”. Molto più spesso (se non quasi sempre) hanno poco “apprezzato” o decisamente osteggiato (a colpi di sgomberi e denunce) spazi e modelli alternativi –indipendenti da logiche istituzionali e mercantili, riappropriati “dal basso”- di valorizzazione, produzione e circolazione di socialità e cultura. Ciò in nome di ragioni e funzioni regolative e amministrative che le istituzioni territoriali interpretavano -e interpretano-, traducendo i propri specifici compiti secondo i parametri di una logica tradizionalmente prefettizia (cioè, esecutivo-poliziesca). In tal modo, queste istituzioni si sono mostrate essere funzionalmente delle cinghie di trasmissione della “ragione economica” neoliberista dominante e del suo pensiero e modello unici di valorizzazione, basati su individualizzazione competitiva, segmentazione e gerarchizzazione sociali.
6.    Occorre avere il coraggio di mostrarsi “velleitari”, “ingenui”, “incompatibili” e persino “arroganti” di fronte ai sorrisetti di sufficienza e alle pacche istituzionali sulle spalle dispensate da puri e semplici amministratori dell’esistente miseria: uomini e donne senza o con poche qualità che contrabbano per “realismo” il loro asservimento alle logiche del profitto dell’economia mercantile o alla necessità di riprodurre la propria effimera, e perciò precaria, rendita di posizione politica. Dobbiamo avere la forza di mettere in croce chi ha accettato ruoli istituzionali con la promessa di custodire il nostro patrimonio comune e/o di ricostruire e rivalorizzare il nostro tessuto sociale (in ogni senso) produttivo.
Reclamiamo il nostro diritto –e perfino il dovere- di generare e restituire linfa vitale, piacere di vivere e ricchezza a noi stessi e alla nostra città. Per questo scopo abbiamo bisogno di spazi materiali e di condizioni concrete: luoghi di incontro, luoghi di tutti e per tutti ove sia possibile ritrovarsi, prendere la parola, esprimersi, elaborare, darsi tempo, progettare e costruire.
Riappropriarsi degli spazi comuni -della nostra storia, cultura, socialità- significa anche rivendicare il diritto a un reddito indiretto, ossia reclamarlo alle istituzioni territoriali più prossime che dovrebbero “ben amministrare” la ricchezza socialmente prodotta.


°28/09/2014°28/09/2014°28/09/2014°28/09/2014°28/09/2014
@Osimo c/o Fontemagna
h.17:00-…
indipendence day/night

1 commento:

  1. va bene romi monica e cari tutti ma qui bisogna concentrarci sull'organizzazione comunista xchè il nemico non ci da solo le pacche ma anche le legnate sulle spalle

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