La crisi del cinema riflette la crisi della sinistra: senza rappresentanza ci si consola con la rappresentazione, passando dai cavalli dei Cosacchi a Cicciolina dei cavalli

Il grande cinema muore con Jessica Rizzo.
Infatti con lei inizia il porno fai da tè, autogestito
e casalingo, a portata di tutti, precursore delle autoriprese internet che
hanno distrutto il settore e con esso il
grande cinema. Perché nella sua essenza il cinema è porno; è il treno che buca
lo schermo dei fratelli Lumière: una percezione iperreale,
talmente falsificata da risultare
più vera del vero, stupefacente nel suo estremo effetto di verità. E’
l’occhio
di Bataille, inserito in un punto di vista inaccessibile a qualsiasi pur fantasioso amante, non plausibile
nell'esercizio erotico e nemmeno in nessun'altra arte; sono il 37 di John
Holmes e i cavalli di Cicciolina. Tutto il resto è
parafrasi e citazione: narrativa, pittura, teatro, magari ottimamente
reso ma, proprio per questo, incapace di rendere l’unicità della 7° arte.
Gli
attori maschili
erano essenzialmente gay, come Holmes e Valentino, quindi più romantici e
pazienti in un ruolo che non doveva coinvolgerli troppo. Poi è
subentrato il
sonoro ed è stato un duro colpo, una virata verso la letteratura con il
ruolo
decisivo delle sceneggiature; poi ancora è subentrato il viagra e ciò
che si
ostinava a resistere all’offensiva della banalità è sprofondato, con le
pornostar costrette a reinventarsi tuttologhi. Il motto di Andy Warhol
si
trasformava in una maledizione; pur di avere una piccola soddisfazione
al
proprio esibizionismo frustrato si distruggeva il sogno o l’incubo
dell’immaginario collettivo. Oggettistica e piccoli ridicoli cazzettini
prendevano il centro della mutata scena, con affastellate casalinghe
intente a
raccontar le storie di tutti i giorni: le storie di Eugenia Valentini.